Osvaldo Bagnoli

"Il calcio è un gioco semplice, non sono indispensabili astruserie come la zona o il pressing. L'importante è avere la fortuna di trovare gli uomini giusti per metterli poi nei posti giusti; lasciandoli liberi di esprimersi"


Osvaldo Bagnoli (Milano, 3 luglio 1935)
Profili: Wikipedia - Treccani | Il Mago della porta accanto (Storie di calcio)


“Ho conosciuto Bagnoli a Verona, l’anno in cui ha vinto lo scudetto. Antonio Grigolini ci ha invitati in una sua villa fuori le mura; poi ci siamo rivisti dai fratelli Gioco, ai 12 apostoli. Antonio Grigolini possedeva giornali e una Tv locale che gli premeva molto: poiché vi collaboravo anch’io, avendo come spalla prima Serena Allione Zambon e poi Mario Puliero, premeva molto al boss che io entrassi in sintonia con quel personaggio serio e schivo, quasi introverso, che ai suoi occhi aveva in comune con me una rozza schiettezza lombarda. Vidi un nasone a spartivento sopra una bocca di labbra sottili, facili a piegarsi in smorfie di acre ironia, una fronte convessa, tagliata da rughe simili a paralleli su un mappamondo. Lo ricordai allora cursore di riserva in maglia rosso-nera, al tempo di Schiaffino e di Lidas, da lui valutati in diversa misura. Mai un gesto enfatico aveva ritenuto di compiere, in quella divisa altera: conosceva i limiti della parte e vi rimaneva con la voluta modestia di uno che, superbo in giusto modo, non vuole essere mortificato mai. Parlando di calcio, mi accorsi che lo vedeva a mio modo e quasi irridendo a me ne proclamai l’intelligenza (l’è brao, la pensa come mi!). In seguito mi feci raccontare la sua vita. Mi tacque di aver messo fuori di spogliatoio, a Solbiate Arno, il presidente padrone della società, che vi era entrato fumando come in un bar. L’episodio mi venne poi raccontato da Laghi, che era il suo direttore sportivo. Il presidente chiamò Laghi e gli disse: Ha sentito e visto? Bene: lo cacci via. Bagnoli fece fagotto ed emigrò a Como, dove rimase solo in panchina e giudicò l’esile Rossi (il Paolo) un debito da scartare. Infine vagò lontano di Lombardia e vinse scudetti, e fu il primo, immagino, a lasciare una società la cui squadra aveva appena portato in Serie A. Andò a Verona per amore d’una figlia che andava a scuola, una certa scuola, e ripeté l’impresa di conquistare la A ma vi rimase: e allestì una squadra che accolse Maradona e il Napoli con un mortificante 3-1. Fu l’anno in cui Capitan Berlusconi mi chiese chi avrei voluto allenatore del Milan e io dissi Bagnoli, e lui obbiettò che Bagnoli era comunista (su informazione errata di Galliani). Conoscendo sempre meglio Bagnoli, mi esaltai battezzandolo Schopenhauer, grande filosofo pessimista. Bagnoli legge e sa chi sia Schopenhauer. A Verona è rimasto anche quando volentieri sarebbe emigrato. Infine è sceso a Genova e qui sta facendo cose di cui pochi al mondo sarebbero capaci. Né io penso che abbia sbagliato epoca. Bagnoli è ancora in tempo a miracol mostrare. Non dimentichi che Schopenhauer ha scritto: Il mondo come volontà e rappresentazione”.
Gianni Brera, Bagnoli, filosofo d'un gioco, “La Repubblica”, 21 dicembre 1990