Perché Mourinho non fu ingaggiato dal Barcellona

E perché non lo è stato nemmeno dal Manchester City e probabilmente non lo sarà neanche dal Manchester United

E' curioso come la stampa e i siti italiani che si occupano di calcio non abbiano finora attinto a quanto è stato ricostruito dal giornalista Graham Hunter nel libro Barça. The making of the greatest team in the world [BackPage Press, 2012 | estratto | full text (vedi alle pp. 159-162) | intervista], e confermato in quello dell'ex vice presidente del Barcellona Ferran Soriano, Goal. The ball doesn't go in by chance: management ideas from the world of football [Palgrave Macmillan, 2011 | anteprima (vedi a p. 132)], a proposito del mancato ingaggio di José Mourinho da parte del Barcellona nell'inverno del 2008.

Schmittiani: José Mário dos Santos Mourinho Félix
Insoddisfatta dalla fallimentare stagione di Frank Rijkaard alla guida della squadra, la dirigenza del Barcellona decise di sondare la disponibilità di alcuni allenatori per la stagione successiva: Jupp Heynkes, Guus Hiddink, Laurent Blanc, José Mourinho e Pep Guardiola (che stava guidando il Barcelona B alla promozione in Segunda División). Mourinho - che era stato vice allenatore dei Blaugrana ai tempi di Bobby Robson (dal 1996) e di Louis van Gaal (dal 1997 al 2000), che gli aveva anche permesso di guidare la squadra nella finale della Copa Catalunya il 16 maggio 2000 e di vincere quindi il suo primo "titulo" - era stato esonerato dal Chelsea nell'autunno del 2007. Con lui fu organizzato un incontro molto discreto a Lisbona, dove, per il Barcellona, si recarono l'allora direttore sportivo Txiki Begiristain e il vice presidente Marc Ingla.

Mourinho aveva preparato una brillante presentazione powerpoint, in cui enumerò con la consueta sicurezza ciò che non andava bene nella squadra e ciò che egli avrebbe fatto una volta firmato il contratto. Soprattutto mostrò di ritenere che la dirigenza non conoscesse la chiave corretta per risolvere la situazione ("it appeared Mourinho believed that because Barça had gone awry, the directors didn’t know the correct way forward – only he did"), e propose la sua consolidata strategia di fermo controllo dello spogliatoio e di campagne acquisti guidate di persona ("Mourinho felt that his record at Porto and Chelsea, his firm control of the transfer market thanks to the increasing influence of Jorge Mendes, his past at the Camp Nou and his ability to crack the whip (something Rijkaard didn’t possess) made it a buyer’s market").

Il commento di Hunter è lapidario: "It was, by his standards, a towering misjudgement". Mourinho fallì clamorosamente l'esame. Ingla e Begiristain lo incontrarono dapprima separatamente e poi insieme. A un certo punto, il primo gli disse apertamente: "José, the problem we have with you is that you push the media too much. There is too much aggression. The coach is the image of the club. Three times a week, talking to the media for an hour, talking for the club, you cannot start fires everywhere, because this is against our style". Il portoghese rispose: "I know, but that is my style and I will not change", e aggiunse: "Look at van Gaal. In his first era he was mean at Barca and he was a success. The second time he became like a ‘mother’, he changed his style and he failed".

Marc Ingla i Mas, il vero "ideologo" del modello Barça
Mourinho sottovalutò l'osservazione dei dirigenti catalani. Ricorda Ingla: "Mourinho was renowned to be No.1 and he was first class at pitching himself – but he wouldn’t listen". Troppo sicuro di sé e delle sue capacità "the Portuguese didn’t hear the warning signs when told of the board’s insistence that he renounce his love of polemic. To him, it was apparently unclear which party was sitting in the power seat". La presunzione non gli fece capire con quali interlocutori aveva a che fare.

L'incontro durò tre ore complessive. Scrive Soriano: “Txiki and Marc thought that Mourinho was very well prepared", ma "both came away thinking Mourinho was not our guy. Marc said that Mourinho spoke 90% of the time and didn’t listen. He said: ‘I just don’t like him’. Txiki was a bit more rational. He said: ‘Mourinho would do well, but the number of fires he would cause internally, and with the media, are not worth it' ". Entrambi trovarono che "Mourinho's attitudes were inappropriate". Entrambi "found the Special One wanting" (che si può tradurre eufemisticamente con "lacking intelligence").

Paradossalmente va ringraziato Mourinho per aver orientato la scelta dei dirigenti verso un'altra soluzione. Senza il fallito colloquio di Lisbona, la storia del calcio non avrebbe conosciuto quella magnificente opera d'arte che è stato il Barça di Guardiola.

Non senza fondamento, osserva Ben Lyttleton - in un articolo apparso su "Sports illustrated" il 15 novembre 2012 [leggi] - che il tecnico lusitano si vendicò quando "in his first season at Real Madrid, Mourinho went to war with Barcelona, with attacks that the Catalan top brass believe was out of revenge for being overlooked for the job". In questo quadro si comprenderebbe meglio, in effetti, anche la guerriglia mediatica scatenata ai tempi della semifinale di Champions League con l'Inter nel 2010, e lo scherno vendicatorio dell'esultanza tra gli idranti alla fine della partita di ritorno al Camp Nou.

Txiki Begiristain, direttore sportivo del Barça e poi del City
Il fronte con il Barcellona e con Begiristain è rimasto aperto ovviamente. Per mesi durante la stagione 2012-2013, quando si profilava il divorzio tra José e l'ambiente del Real, la stampa ha superficialmente indicato anche il Manchester City dell'incerto Mancini tra i possibili approdi dello Special One, semplicemente sulla base delle ricchezze potenziali dello sceicco che ne è proprietario, ritenute ideali per soddisfare le sontuose campagne di mercato con cui Mourinho è uso inaugurare i suoi insediamenti nei nuovi club (memorabili restano i 25 milioni fatti spendere a Moratti per Ricardo Andrade Quaresma Bernardo). Quasi nessuno ha messo in relazione il passaggio al City, nell'ottobre 2012, di Txiki Begiristain e di Ferran Soriano con le medesime mansioni che rivestivano al Barcellona. Difficile che si siano ricreduti sull'attitudine di Mourinho a guidare una squadra senza gli eccessi di cui è ormai prigioniero il suo personaggio. Solo il "Mirror" del 5 dicembre 2012 lo ha scritto a chiare lettere: "Jose? No way! Manchester City chiefs don't want Mourinho as next manager: Blues' former Barcelona bigwigs would snub Special One - just like they did in 2008" [leggi].

Ma non è finita qui. Tutti sappiamo - perché lo ha dichiarato lui stesso più volte - che il grande sogno di Mourinho è di succedere a sir Alex Ferguson alla guida del Manchester United. Tutti hanno sottolineato le dichiarazioni al miele che ha sparso in occasione dell'ultimo confronto di Champions tra Real e United del marzo 2013. E' però molto probabile che il sogno rimanga tale. Si noterà come Ferguson non abbia mai speso una parola in tal senso. Il perché è presto detto: il vero personaggio influente nello United è l'altro sir, Bobby Charlton, il dirigente più influente presso la proprietà americana. E Charlton ha posto il veto sullo Special One. "Sir Bobby Charlton says José Mourinho would not suit Manchester United: 'He's a good coach but that is as far as I would go', says Charlton", come scriveva il Guardian del 7 dicembre 2012 [leggi]. Pare che "one of the most uncomfortable entries on an ever-lengthening charge sheet was Mourinho's gouging of the eye of Tito Vilanova, then Barcelona's assistant coach, in the 2011 Spanish Super Cup. "A United manager wouldn't do that," Charlton says". E non è certo un caso che, dopo il fallimento di Mourinho al Real, sia stata fatta passare la voce che lo United sta semmai cominciando a pensare a Jürgen Klopp come possibile successore di sir Alex [leggi].

Sirs: Bobby Charlton e Alex Ferguson (qui nel 1994)
Quando Mourinho afferma spavaldo in conferenza stampa, da ultimo il 30 aprile 2013, "Sé que en Inglaterra me quieren, eso lo sé. Sé que me quieren los aficionados y los medios me tratan de una forma distinta. Me critican, pero me dan cierto mérito cuando lo merezco. Sé que algunos clubes me quieren, sobre todo uno. Y en España hay gente que me odia. Muchos de ellos están en esta sala" [leggi], non fa che riaffermare il suo credo politico realista, la concezione schmittiana che le relazioni umane si ordinano tra amici ("amore") e nemici ("odio"), clamorosamente declamata ad Appiano Gentile il 3 marzo 2009 [vedi].

A ben vedere, la mappa futura di Mourinho è delimitata. Lo "amano" il Chelsea, l'Inter (con il cui ambiente continua a flirtare, non a caso) e, forse, il Porto e la nazionale lusitana. Lo "odiano" il Barça, il Real e, nei fatti, anche il City e lo United. Al Bayern non potrà mai andare, stante la scelta di Guardiola. Difficile anche la soluzione Juventus. Cosa rimane dunque per un allenatore del suo status? Poco altro: forse l'area "francese" del PSG e dell'Arsenal, forse i magnati russi. Forse. Il mondo che Mourinho si è costruito addosso sembra disegnare ormai una geografia molto ristretta.

[7 maggio 2013]