In morte di Hugo Meisl

Troppo presto, negli anni '30, se ne andarono due grandi figure del calcio europeo. Herbert Chapman, nel 1934. E Hugo Meisl, a Vienna, il 17 febbraio 1937. Meisl, il forgiatore del Wunderteam, della meravigliosa squadra austriaca di quei tempi. Vittorio Pozzo perdeva un grande avversario, ma anche un grande amico. E così lo ricordava, sulle pagine del suo giornale.

Hugo Meisl non è più. E scomparso, come portato via da un colpo di vento. Il cuore, quel cuore che di scosse e di emozioni ne aveva conosciute tante, non gli ha retto. Tre anni fa circa, poco prima del campionato del mondo, aveva fatto una grave malattia: ne era uscito coll'organismo sconquassato, colla impossibilità di curare certi mali per non aggravarne altri, colla possibilità sempre di ricadute repentine. L'anno scorso era migliorato alquanto, ma a Parigi, tre settimane fa, all'incontro Francia-Austria, era peggiorato di nuovo. Lo denotava, più che la cera giallastra ed incartapecorita, che gli era solita, l'agitazione interna, il nervosismo: sul campo, sotto la pioggia, si dimenava, inveiva, s'accalorava coi proprii giuocatori. Aveva perso linea. 

Un'altra ben più grave malattia aveva fatto trenta o quaranta anni prima, una malattia da cui non era guarito più, che gli era entrata nel sangue, nel cervello, nell'organismo, di tutto impadronendosi e tutto dominando: il «virus» moderno del giuoco del calcio. A questa sua passione egli non aveva dedicato, come fa il volgo, qualche ora settimanale; aveva sacrificato tutto, aveva dedicato l'intera esistenza. 

Il suo primo amore calcistico era stato per la squadra viennese che, nell'anteguerra, portava il nome di «Wiener Amateure Sportverein». In essa aveva giuocato qualche tempo; nelle sue file aveva militato, anzi, un suo fratello, Willy, che giunse fino agli onori della maglia nazionale, e che è attualmente valoroso giornalista a Londra. Poi era passato al campo arbitrale. Da questo era salito alla notorietà come «Verbandskapitän», come Commissario tecnico della Federazione, come Capitano della Squadra nazionale austriaca. Per più di venticinque anni aveva tenuta la carica greve di oneri e di responsabilità. Nella veste appunto di «Capitano » austriaco, lo avevamo conosciuto personalmente a Stoccolma, nel 1912, ai Giuochi Olimpici. In quella occasione, egli aveva appunto arbitrato l'incontro che vide l'eliminazione dell'Italia dal torneo calcistico, l'incontro colla Finlandia, allo stadio di Rosunda. Con lui si era allora combinato il primo incontro fra squadre italiane ed austriache; grazie al suo intervento era sceso l'anno seguente a Torino - fra l'allarme delle autorità costituite, che vedevan nel tentativo chissà quale pericolo di incidenti o di conflagrazioni - proprio il «Wiener Amateur», che dopo la guerra doveva prendere il nome di «Austria». Con lui si era fissato il primo incontro Italia-Austria, che ebbe luogo a Genova poco dopo. 

La sua passione per il Calcio lo aveva portato ad abbandonare ad un dato punto la sua professione di funzionario di banca, ed a dedicare interamente la propria attività alla Federazione Austriaca, associando alle mansioni di Commissario tecnico quelle di Segretario generale. Da anni più non viveva che della vita del Calcio, più non si occupava che dei problemi del grande sport. Tutte le gioie e tutti i dolori, tutte le soddisfazioni e tutte le amarezze, tutti gli onori e tutti gli oneri che lo sport può dare ad un uomo, egli li aveva avuti, vincendo, perdendo, battagliando in tutti i Paesi d'Europa. 

La più geniale delle sue creazioni fu la così detta Squadra del miracolo.


Proveniente da famiglia originaria della Boemia. Meisl aveva dello sportivo nato tutta la calda passione, del tecnico la competenza profonda, del viennese la fine abilità diplomatica. Dopo tanti anni d'esperienza, gioiva ancor ora dei successi, e soffriva degli insuccessi della sua squadra, come un bambino. Poliglotta, intelligente, versatile, egli non limitò mai la propria attività ai problemi tecnici ed organizzativi del giuoco, si occupò anche della politica del giuoco stesso; non si soffermò all'indispensabile studio ed alla necessaria conoscenza degli uomini con cui doveva convivere, guerreggiò con essi. E così s'era accumulato amici e nemici in quantità, questi ultimi specialmente in casa propria. 

Appassionato schietto, aveva dato tutto allo sport, non chiedendo in compenso, verso gli ultimi anni, che lo stipendio per vivere. Amava dire, nei momenti di confidenza, che era «un cattivo venditore delle proprie capacità». Con Meisl scompare un pioniere, un tecnico, un comandante di squadra, una delle figure dominanti del Calcio mondiale. Tutta la storia del calcio europeo si ricollega al suo nome. L'Italia sportiva, che lo ebbe così spesso vicino, non lo dimenticherà. Coloro che contro di lui combatterono sui campi di giuoco in difesa dei colori d'Italia, si scoprono commossi alla notizia della improvvisa dipartita del difensore dei colori d'Austria, si ergono sull'attenti di fronte al gladiatore che scompare.

Vittorio Pozzo - "La Stampa", 18 febbraio 1937.