Vittorio Pozzo viene spesso presentato come un burocrate spontaneamente fascista, patriottico e grigio. E' probabilmente anche questo, ma non basta. E' molto altro. E' un uomo di calcio moderno nel senso che gioca ma vuole anche capire come funziona il gioco. Ne diventa un conoscitore profondo. Considera il suo ruolo un privilegio, infatti non lascia il suo posto alla Pirelli e non vuole mai uno stipendio dalla Federazione.
Studia continuamente il calcio, le novità che arrivano dall'estero. Ha frequenti scambi con i grandi allenatori danubiani che passano dall'Italia, discute con loro variazioni tattiche, s'informa sulle novità atletiche e mediche. Non si affida a uno schema esatto, il suo Metodo è flessibile. Pozzo, come Sacchi settant'anni dopo, ma con molto meno fondamentalismo, cerca l'uomo. La sua vera invenzione è il gruppo, lo spirito dello spogliatoio. E' quasi certamente falso che spingesse molto sulla retorica patriottica. Era uno che aveva combattuto contro gli austriaci pochi anni prima, aveva vissuto la fissità dolorosa della trincea. Aveva un suo concetto di onore e valore che adesso suonano un po' grassi, ma era una persona semplice, arrivava dritto ai giocatori. Questo lo rendeva un ottimo motivatore. E credeva profondamente nella bontà, nel favore universale del suo compito.
Il suo ricordo più caro è stato un pezzo di cristallo di Boemia, senza forma, uno dei tanti resti della Coppa Internazionale del 1930 che andò in frantumi durante il viaggio di ritorno in treno. Era solo vetro, ma era la prima Coppa conquistata dall'Italia nella sua storia. Una reliquia. Per Pozzo la dimostrazione che esiste un equilibrio, la conferma che i valori sono sostanza e il mondo è davvero degli uomini di buona volontà. La Coppa, per disgrazia, andò in mille pezzi, ma uno di questi pezzi venne incartato religiosamente da Pozzo in decine di pagine di giornali. Il tecnico lo chiuse in valigia e non lo lasciò mai. Era la sua assicurazione sulla coscienza. Aveva fatto bene il suo lavoro qualunque.
Pozzo non ha vinto perché ha avuto fortuna. Non ha costruito una squadra che ha vinto per lui. Tra quella del '34 e quella del '38 ci sono solo due giocatori in comune, Giuseppe Meazza e Giovanni Ferrari. Nel mezzo, nel '36, ha vinto le Olimpiadi con una squadra di studenti. Una squadra nata da una sua idea. Pozzo è stato un grande tecnico, un eccellente selezionatore proprio perché semplice, ad altezza d'uomo, un eccellente conoscitore del linguaggio del calcio. E' molto probabile che una delle primissime ragioni del successo italiano sia il suo essere diverso.
Mario Sconcerti, Storia delle idee del calcio, pp. 61-62.